UN PAESE DISGRAZIATO


Meglio se taci, l’ipocrisia della libertà di parola in Italia
Il nostro bellissimo paese è un paese disgraziato. Ed è un paese disgraziato perchè è un paese ingiusto, ed è ingiusto perchè è profondamente corrotto.
Una corruzione che ruba ai bisogni del paese almeno 60 miliardi di euro all’anno, soldi che invece di finanziare scuole, ospedali e trasporti, finiscono in paradisi fiscali e banche compiacenti.
La colpa non è solo di imprenditori collusi coi poteri mafiosi e di funzionari dello stato infedeli e arroganti, ma anche di un sistema dell’informazione che rinuncia ogni giorno a svolgere il suo ruolo di cane da guardia della democrazia.
E se questo accade non è solo per l’inaccettabile compromissione del potere politico con quello mediatico
che non si è ancora scrollato di dosso un sistema televisivo basato su un duopolio di fatto ma non di modo, basta seguire i TG dei rispettivi blocchi per assistere alla medesima scaletta delle notizie uniformate.
In contemporanea assistiamo causa le norme anacronistiche che regolano l’accesso alla professione giornalistica, per le minacce subite quotidianamente da chi fa informazione
per la cecità politica di decisori pubblici che trattare la comunicazione in Internet come un pericolo piuttosto che come una risorsa.
L’Italia sta scivolando inevitabilmente sempre più in basso nella classifica della libertà e qualità di informazione.
In pochi anni l’Italia è passata dal poco invidiabile 49° posto nel rating sulla libertà di espressione di Reporter senza frontiere al 73, un paese disgraziato!

Purtroppo non c’è nessun segnale che si stia cambiando rotta, anzi, sembra che il nostro Paese sia ormai alla deriva verso la terra del silenzio”.
Un silenzio indotto da un sistema politico e normativo che premia di più chi tace, che chi scrive, parla, racconta, condivide informazioni che puntualmente viene segnalato e bloccato laddove non allineato al pensiero unico.
Attraverso metodi subdoli da noi si disincentivano fortemente le persone (non solo i giornalisti) a scrivere del potere politico ed economico.”
Ad esempio? “La cosiddetta legge sulla diffamazione, una norma anti blog e anti social network.” Che sono il vero cruccio di chi comanda, o no.
“I media tradizionali rispondono a pochi centri di interesse politico ed economico con la conseguenza che per controllarli basta, il più delle volte, una stretta di mano nei Palazzi dei bottoni della politica e dell’alta finanza.
Il web invece è policefalo, con la conseguenza che per metterne a tacere le voci più libere, si ricorre a strumenti diversi:
leggi e leggine censoree, freni agli investimenti in risorse di connettività, nessun investimento in alfabetizzazione e cultura informatica.”
Paradossale di fronte a questo scenario appare come ai tempi di Berlusconi la libertà dell’informazione sembrasse l’unico elemento vitale della nostra nazione da tutelare (ve li ricordate i girotondi di Moretti & c.? Che fine hanno fatto ora questi intellettualoni di sinistra preoccupati per la libertà dell’informazione?)
Adesso invece questi ultimi sono spariti e le difese sono molto calate ma le minacce no, anzi, e vengono proprio dalla politica, ma anche dalle corporation di Internet. (Facebook in primis).

Dividerei in tre tipi la cattiva informazione “made in Italy”
La prima che è cattiva per la superficialità dei giornalisti
La seconda che è cattiva perché fatta in mala fede e senza onestà intellettuale, magari per tifo politico
E terza quella che è cattiva perché un potente elemento esterno; i poteri economici e politici, la malavita organizzata, gli inserzionisti pubblicitari, impediscono che sia onesta.
Appare indispensabile il ripensamento delle norme che regolano il giornalismo
e contempli il sussulto d’orgoglio di un Parlamento che possa finalmente considerare gli operatori dell’informazione alleati e non nemici da zittire
E con una stella polare davanti: ogni reato d’opinione va perseguito garantendo l’accesso a un giudice e a un giusto processo, per garantire sia i diritti dell’offeso che di chi svolge il suo mestiere, proteggendolo da querele temerarie e da ogni altro tentativo di censura.