Siamo alla frutta

Siamo alla frutta’ è un termine che si addice perfettamente alla situazione dei produttori di frutta alle prese con i diktat della Grande distribuzione, vincoli normative e conseguenze dei cambiamenti climatici.
I rivenditori accettano solo prodotti esteticamente perfetti
Quando compriamo la frutta,
sullo scaffale del supermercato troviamo quasi sempre un prodotto all’apparenza perfetto: mele identiche le une alle altre, arance non più piccole di 53 millimetri di diametro, una vaschetta di kiwi delle stesse dimensioni.
Non c’è traccia, sugli scaffali, delle criticità che mettono a rischio l’intera produzione agricola e di ciò che accade nelle campagne:
l’aumento di eventi climatici estremi, le siccità prolungate, il pesante utilizzo della chimica che sta facendo strage di api e altri impollinatori, i parassiti che provocano danni alle piantagioni.
A dispetto della strategia Farm to Fork, la stessa prassi di commercializzare prodotti esteticamente perfetti mette in ginocchio il settore, che non riesce più a produrli proprio a causa dei cambiamenti climatici (e di altri fattori spesso legati al clima).
Mentre, tolta la parte che finisce all’industria della trasformazione e pagata a prezzi stracciati, il resto va al macero. Al volte gli agricoltori scelgono di non raccogliere la frutta imperfetta, perché a loro non conviene.
Secondo la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite
è come se ogni anno venissero riempiti 33 milioni di tir di cibo da buttare”.
In Italia, stando ai dati Ismea, su una disponibilità di prodotto di 3 milioni di tonnellate, il 57% è destinato al consumo fresco,
il 30% all’industria di trasformazione di succhi e essenze,
l’8% è esportato e il resto viene perso lungo la filiera o ritirato dal mercato. Parliamo di prodotti commestibili e di qualità.