Quando gli innamorati si parlano

QUANDO GLI INNAMORATI SI PARLANO

Alda Merini

Quando gli innamorati si parlano
attraverso gli alberi e attraverso mille strade infelici,
quando abbracciano l’edera come se fosse un canto,
quando trovano la grazia nelle spighe scomposte e dagli alti rigogli,
quando gli amanti gemono
sono signori sulla terra e sono vicini a Dio come i santi più ebbri.
Quando gli innamorati parlano di morte parlano di vita in eterno
in un colloquio di un fine esperanto
noto solo a Lui.
Il loro linguaggio è dissacratore,
ma chiama la grazia infinita di un grande perdono.
Del tuo ultimo tempo senza colore,
delle tue arringhe senza popolo,
della tua vasta legge d’amore,
che da ozi e digiuni,
girando intorno a una grande solitudine
hai scoperto il baricentro del cuore,
o mio sudato amore senz’arte
che mi hai fallito le carte del pudore.

Una poesia difficile, contrariamente a quanto appare e che presenta caratteristiche specifiche e originali. Forse Rilke, o forse nessuno, costituisce, oltre alle matrici classiche, la tradizione a cui si rifà Merini.

Una lirica metaforica, dal linguaggio contrastante, forbito e modesto, comune e spirituale, degno di messali, alle volte. Un canto che avvicina Dio e uomo in molteplici modi. Li mischia, li sovrappone, li confonde. Misticamente.

Leggere Merini significa prepararsi al dualismo e al compenetrarsi di cielo e terra, di carne e spiritualità, di corpo e anima: probabilmente non vi è aspetto più interessante di questo nella poetica meriniana. Una voce potentemente ossimorica che trae il suo meglio dalla tensione dolorosa della eterna convivenza di angeli e demoni.

Per dirlo con le parole di Merini: “solo angeli e demoni parlano la stessa lingua da sempre“. Puro corpo e puro spirito, quasi a ricalcare le Scritture, è il motivo dell’intera opera meriniana e delle figure che la compongono.

Gli Amanti sono puro corpo e puro spirito: coloro che umani, terrestri, gemono e contemporaneamente, in tale linguaggio, sono vicini a Dio come i santi più ebbri.

Sono puro corpo e puro spirito i matti dipinti nelle pagine del capolavoro la Terra Santa in cui sono profeti, mistici, angeli, santi. Puro corpo e puro spirito sono i poeti, i medici, gli amici della poetessa ritratti in versi. Ella stessa e il suo canto sono pura carne e puro spirito. E allora “corpo” è parola amata e ricorrente.

È scelta emblematica nel titolo del testo “Corpo d’amore. Un incontro con Gesù”. Quel Gesù che è pietra, carne e spirito, che da solo si annienta nei sensi e nello spirito per una prova d’amore.

Il “corpo” meriniano non è mero un contenitore per l’anima o un mezzo per la poesia, ma è un modo, un mistero meraviglioso, una domanda sconvolta, è la poesia stessa. Scrive Merini: 

Gli inguini sono tormento/sono poesia e paranoia/delirio di uomini. /Perdersi nella giungla dei sensi, /asfaltare l’anima di veleno,/ma dagli inguini può germogliare Dio.

Il corpo qui è poesia, paranoia, perdita, ma anche porta sul divino. Il corpo cantato da Merini è spesso esaltato alla maniera biblica, chiari, ad esempio, sono i riferimenti al Cantico dei cantici: 

Forse tu hai dentro il tuo corpo/Un seme di grande ragione – scrive Alda Merini nel suo Canto dello sposo, concludendo sfinita di passione – eppure in me è la sorpresa/di averti accanto a morire/dopo che un fiume di vita/ ti ha spinto fino all’argine pieno.

Nella complessità del tema della carne e del corpo in Alda Merini, emergono altri connotati, come ad esempio la bellezza. Bellezza, per la poetessa è ciò che salva l’atto carnale dalla miseria, così come la nudità è salvata dal disgusto, dal pudore.

Il corpo senza trascendenza nell’altro non è altro che il ludibrio grigio nominato ne La Terra Santa. In questa ottica anche l’eros si trasforma in arte, in poesia capace di intrecciare eros e agape, carne e anima, desiderio e fede: 

come il peccato cede e travolge la fede stessa/fino a diventare a sua volta/il ritmo stesso della fede. Come il peccato è arte/ e come l’arte è il peccato.

Spirito e materia, anima e corpo hanno senso nel compenetrarsi. La vita stessa e il suo maturarsi sono chiuse nello spazio di un amplesso, come esistesse una corporalità dello spirito: Io vivo nello spazio di un amplesso – scrive Merini – tu stesso mi maturi senza accorgerti/sotto il tepore delle tue carezze.

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