Parmigiano Reggiano


Parmigiano Reggiano , per questa eccellenza conosciuta in tutto il mondo dobbiamo ringraziare i monaci Benedettini e Cistercensi
IL PARMIGIANO REGGIANO

di Cristiano Sandona’
Superando i secoli bui del medioevo questi Monaci hanno saputo conservare questa cultura casearia che altrimenti sicuramente sarebbe scomparsa

Questi monaci che nelle loro lavorazioni intendevano creare un formaggio buono e che durasse nel tempo, crearono il Parmigiano Reggiano
Il parmigiano “moderno” è infatti nato con i monaci ed è rimasto quasi invariato da sei secoli ma la sua storia, secondo le fonti bibliografiche, dovrebbe essere molto più antica;

Plinio il Vecchio, infatti, nel suo “Naturalis Historia” cita già un formaggio a pasta dura “dalla grandezza cospicua” molto simile al parmigiano e, qualche anno dopo, lo farà anche il poeta Marziale nei suoi Epigrammi:
“Il formaggio segnato col marchio dell’Etrusca Luni fornirà mille pranzi per i tuoi piccoli schiavi”.
L’Etrusca Luni era l’effige dell’attuale città di Luni, in Liguria, un’antichissima colonia romana.
Altra notizia certa è che i formaggi a pasta dura esistevano già nel 1100:
il Granone Lodigiano, il formaggio da cui si ricava la raspadura, è nato nel 1135, nell’abbazia di Chiaravalle, pochi chilometri a sud di Milano.

Rimane incolmato il buco storico di 1000 anni tra Plinio e Chiaravalle che purtroppo non sarà mai colmato
ma è presumibile che gli scambi tra le diverse zone dell’Impero Romano abbiano contribuito alla diffusione di questo formaggio nella zona emiliano-romagnola.
Stando ai quaderni dell’epoca infatti, i monaci avrebbero fatto passi da gigante in brevissimo tempo nell’affinamento del Parmigiano Reggiano diventando degli abilissimi agricoltori:
Il parmigiano diventa dunque uno degli alimenti più ambiti del Medioevo
grazie al suo sapore unico e inimitabile, probabilmente una delle cose più buone mai comparse sulle tavole dell’epoca.

Rimane storia scolpita quanto scrisse nel ‘300, il Boccaccio, nel Decameron ( giornata VIII, novella terza “Calandrino e l’elitropia”),
il quale talmente riconosce la bontà di tale formaggio da utilizzarlo come simbolo del paese di Bengodi
“Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva”
In questo estratto leggiamo di “una montagna di parmigiano grattugiato” su cui venivano fatti rotolare “maccheroni e raviuoli”, dando addirittura un’indicazione dell’uso che se ne poteva fare in cucina.
Purtroppo però questa novella ha poco a che fare col buon cibo: sebbene ci siano salsicce e vini, questa non vuole essere una celebrazione della gastronomia.
L’oggetto della novella è infatti lo sberleffo, non il cibo. Il protagonista, Calandrino, viene beffato da tre amici che lo spingono a credere a un’inesistente pietra dell’invisibilità.
Per raggiungerla avrebbe dovuto attraversare questo posto immaginario fatto di cibo e divertimento.
Nel Paese della Cuccagna, il cibo viene addirittura lanciato nelle bocche dei passanti
uno scenario inverosimile che Boccaccio usa per accentuare la caratteristica credulità del suo protagonista.
Una vera diffusione capillare avvenne nel rinascimento dove la produzione del Parmigiano Reggiano si diffuse grandemente; furono costruite vaccherie e caseifici;
nel 1612 il Duca di Parma Ranuccio I Farnese ne ufficializzò la denominazione di origine, mentre il formaggio si commerciava fino in Germania, nelle Fiandre, in Francia ed in Spagna.
All’inizio del 1900 la lavorazione del Parmigiano Reggiano sviluppa alcune innovazioni, ancor oggi utilizzate
come l’uso del siero innesto e del riscaldamento a vapore, che migliorano la qualità del formaggio e cambiano l’assetto dei caseifici.
Per la tenuta produttiva, un notevole contributo è fornito dall’introduzione delle cooperative come forma societaria.
La necessità di tutelare il prodotto da formaggi simili, che iniziano a essere prodotti in altre aree e commercializzati
rischiando di essere confusi con il Parmigiano ed il Reggiano, porta alla formazione del Consorzio di tutela.
Dai monaci ad oggi di fatto il formaggio, passando le varie vicissitudini della storia, ha mantenuto la propria forte identità
che in sostanza non ne modificano mai le proprietà organolettiche e biologiche, mantenendolo un formaggio “vivo”.
Gli ingredienti di questa eccellenza italiana sono tre, latte, sale e caglio.
Il latte della mungitura serale viene versato in appositi contenitori larghi e bassi, detti affioratori
nei quali rimane a riposare tutta la notte per fare affiorare naturalmente la panna.
Queste vasche hanno una spillatura automatica per cui durante la notte il latte scremato viene messo in automatico nel tank, dove viene omogeneizzato.
L’ultimo passaggio è sempre e comunque manuale: è il casaro che decide la quantità di grasso da mettere in caldaia (di fatto il processo è quindi metà automatico e metà manuale).
Alla mattina, nelle tipiche caldaie di rame a forma di cono rovesciato
Le proporzioni di latte scremato e di latte intero dipendono da scelte del casaro, che avvengono in funzione del clima e del latte.
Ed è qui che la sapienza unita all’esperienza determineranno la bontà del Parmigiano Reggiano.
RISCALDAMENTO, SPINATURA E COTTURA.

Durante questa fase si scalda lentamente il latte e viene aggiunto il siero innesto
ricco di fermenti lattici vivi ottenuti dal siero della lavorazione del latte del giorno precedente.
Raggiunti i 30°si aggiunge il caglio e lo si lascia riposare per 8/10 minuti circa affinché avvenga la coagulazione.
Il casaro controllerà la densità del coagulo e poi passerà alla seconda fase, ossia con la spinatura.
Questa fase consiste nel rompere la cagliata in pezzi piccoli come un chicco di grano.
Essendo un formaggio a lunga stagionatura deve essere più liquido possibile e quindi sarà il casaro, con la sua grande esperienza a riconoscere la giusta consistenza.
A questo punto si procede con la Cottura a 55° per 10-12 minuti circa, durante la quale si procede a far perdere umidità ai granuli che andranno a depositarsi sul fondo della caldaia.
Verranno poi lasciati riposare per circa 50 minuti in modo da far compattare la massa caseosa.

Trascorso il tempo, il casaro estrae con una pala di legno la cagliata e la avvolge in una tela di lino.
Questa viene tagliata in due parti, ciascuna delle quali verrà poi riposta in una fascera con appoggiato sopra peso di teflon che esercita pressione naturale.
Nascono così due forme di Parmigiano Reggiano!
Le forme di giornata vengono girate due volte cambiando la tela per farle asciugare.
La terza volta viene tolta la tela e inserita la fascia di plastica rilasciata dal Consorzio del Parmigiano Reggiano
che durante la notte imprimerà i puntini con la scritta Parmigiano Reggiano, il numero di matricola, il mese e l’anno di produzione, il bollo CE e la scritta DOP.
Il giorno dopo le forme saranno trasferite in un’apposita fascia d’acciaio che gli conferirà la caratteristica forma bombata e ci resteranno per uno o due giorni.

Dopo il 3° giorno di vita la forma viene immersa in Salamoia statica (il sale penetra per osmosi) e vi restano circa 18 giorni.
Le forme vengono caricate in gabbie di acciaio a 5 piani (per un totale di 15 forme) e vengono sollevate automaticamente e immerse nella salamoia.
Nella vecchia struttura le forme galleggiavano nella salamoia, per cui dovevano essere girate manualmente dall’operatore per garantire il giusto assorbimento di sale.
con la nuova modalità sono tenute “schiacciate” nella soluzione per cui non c’è bisogno di girarle. Si riduce in questo modo il tempo di salatura (18 contro 25 gg di prima).
Si conclude così la fase di produzione del Parmigiano Reggiano e inizia la fase di stagionatura

Ed è grazie all’acqua che possono verificarsi i processi enzimatici che porteranno all’evoluzione strutturale e sensoriale del formaggio.
I batteri lattici, che trasformano il lattosio in acido lattico, infatti, liberano enzimi impegnati in un processo proteolitico
che, andando a scindere i legami tra gli amminoacidi
i costituenti delle proteine, rende queste ultime sempre più disgregate,
determinando, nel tempo, evidenti cambiamenti nella struttura del Parmigiano Reggiano e nelle sue caratteristiche sensoriali.
Come cambia la struttura
Al termine del primo anno di maturazione nel formaggio prevalgono ancora, al tatto, elasticità e compattezza, sebbene inizi a essere apprezzabile una certa friabilità.
Solo a 24 mesi, però, il formaggio si presenta friabile e granuloso.
A dimostrazione dell’elevato grado di proteolisi raggiunto, inoltre , fanno la loro comparsa cristalli di tirosina, un amminoacido libero.
Ancor più friabile, asciutto e granuloso risulta un Parmigiano Reggiano che abbia raggiunto i 36 mesi.
Ecco perché queste stagionature si prestano a essere grattugiate: grazie alla sua struttura il formaggio è già predisposto a essere frantumato.

Col tempo, però, ad aumentare è anche la solubilità.
Visto che la componente proteica sempre più frazionata in amminoacidi liberi diventa immediatamente solubile
E lo stesso vale all’assaggio diretto. Un Parmigiano di 12 mesi necessita una lunga masticazione; uno di 24 o 36, invece, si frantuma e scioglie velocemente.
L’evoluzione sensoriale
Da maestro assaggiatore non potevo esimermi dal parlare delle caratteristiche gustative e aromatiche del Parmigiano Reggiano che sono in continua evoluzione durante la stagionatura.
Un formaggio giovane di 12-15 mesi, per esempio, ha un sapore dolce con possibili punte di acidità e aromi che riportano al latte, al burro fresco e allo yogurt,
accompagnati da note di verdura lessa (soprattutto cavolo e patata).
Si può dire che il Parmigiano Reggiano di un anno è ancora inespresso, tende ad assomigliare ad altri formaggi più anonimi e non ha ancora raggiunto una struttura e un aroma caratteristico.
Con la maturazione, al dolce si sostituisce gradualmente un’apprezzabile ed equilibrata sapidità
fino a che, a 24-28 mesi, il Parmigiano Reggiano raggiunge la sua espressione più tipica, sia al naso che al palato.

Dal punto di vista olfattivo, accanto al latte e al burro compaiono allora note di burro fuso, aromi di frutta fresca (in particolare ananas e agrumi) o secca (noci e nocciole).
Inoltre, inizia a farsi percepibile il sentore di brodo di carne, che diventa molto spiccato in una stagionatura di 36-48 mesi
accanto a un sapore e a una sapidità più decisi e ad aromi di spezie (noce moscata e pepe) e frutta secca.
A determinare, in particolare, l’aroma di brodo di carne, sono gli amminoacidi liberati dalla proteolisi:
tra questi figura anche l’acido glutammico che, andandosi a legare con il sale del formaggio, forma il glutammato di sodio.
Le ricette della tradizione
Le patate gratinate al forno con Parmigiano Reggiano si preparano affettando parzialmente le patate e farcendo lo spazio tra una rondella e la successiva con una fettina di burro ed una di formaggio. Ecco i passaggi per le patate gratinate al forno con Parmigiano reggiano.
