Parlare di guerra

Parlare di guerra e sulla guerra non è mai un esercizio facile. Per chi come noi ha letto di guerra solo sui libri di storia oppure attraverso i racconti dei nostri nonni e si era illuso che fosse solo cosa del passato.

di Cristiano Sandona’
La tragedia di questa guerra, questa nostra guerra ci riguarda da vicino più di quanto pensiamo e non può ne deve lasciarci indifferenti.
Il fallimento delle diplomazie è un nostro fallimento, quando già da mesi i venti di guerra prospettavano questo tragico epilogo.
Oggi si condanna un popolo e un territorio a imbracciare le armi un po’ per la volontà di staliniana memoria nel voler “russificare” quei territori
Comunque la si veda, è evidente che siamo ancora una volta di fronte alla più classica sete di potere.
E se nel terzo millennio chiaramente la sete di potere è il volano per un conflitto bellico, altrettanto chiaramente possiamo affermare che siamo alla follia.
Gogol, scrittore ucraino, padre della letteratura russa diceva:
“La sete di potere è causa di ogni male: fu per essa, che accaddero tutti i fatti che il mondo chiama poco puliti”.
I motivi, perché questa è anche la nostra guerra, sono tanti.
Se non volessimo addentrarci troppo nelle questioni ideologiche tra la Russia e l’Ucraina e ci limitassimo a una fotografia sullo stato attuale dell’umanità , dovremmo rivolgere la nostra attenzione alle nuove generazioni.
Ai nostri giovani, agli adolescenti, ai nostri figli.
Stiamo lentamente e progressivamente uscendo dall’incubo pandemico, dovuto al Covid-19.
Due lunghi anni vissuti nel terrore, che fosse la fine dell’umanità come la conoscevamo.
Le lunghe file di bare, i capannoni stracolmi di defunti hanno minato e non poco la nostra pur labile stabilità di vita e con essa, la nostra speranza di un futuro migliore.
Ci siamo fatti coraggio l’un l’altro , adornando i nostri balconi e le nostre finestre, con lo slogan “andrà tutto bene”.
I segni tangibili, che ci ha lasciato addosso questo sciagurato periodo, sono i risvolti psicologici che viviamo tuttora.
Tant’è, che facciamo ancora fatica nel semplice gesto di stringerci la mano.
E ora?
Ora cosa restituiamo alle nostre giovani generazioni, dopo questi due anni?
Una guerra assurda.
Qual è il senso di tutto questo?
E con quali occhi e speranza i nostri figli potranno abbandonarsi a una prospettiva di vita migliore?
Ma se volessimo addentrarci di più nelle ragioni specifiche , che uniscono e dividono l’Ucraina e la Russia, allora dovremmo inevitabilmente rifarci alla storia.
Una domanda, che oggi tutti noi ci siamo posti, è a questo punto“da che parte stare?”
Visto che evidentemente la storia non insegna mai nulla e talvolta non ci mette al riparo dagli errori.
Io credo nonostante tutto che studiare la storia serva a mettere in fila i fatti e a darci una prospettiva.
L’identità russa e il nome di Russia per esempio, nascono attorno all’anno 1000 proprio a Kiev e nelle zone circostanti.
La prima popolazione che prende questo nome dall’élite dei conquistatori che sottomette tutte le popolazioni slave è proprio la Rus di Kiev. Nasce così una sorta di primordiale società multietnica, basti pensare che il primo conquistatore era di origine vichinga.
Sotto il dominio di re Vladimiro I la Rus di kiev vive un periodo di prosperità e lo stesso pur convertendosi al cristianesimo e accettando la dottrina di sacra romana chiesa non abbandona la ritualità ortodossa tipica del suo popolo Poi intorno al 1400 la centralità della Rus di kiev comincia ad vivere una sorta di declino.
Il primo zar, il primo cesare dal nome ben poco rassicurante di Ivan il terribile decise di conquistare tutte le zone più a nord fino ad arrivare al baltico.
Arrivando così a quella configurazione geografica che tutti conoscevamo prima della caduta del muro di Berlino.
E lo zar decide di spostare il centro di potere da kiev a mosca relegando la Rus di Kiev, l’attuale ucraina, ad un ruolo sempre più marginale e periferico.
Ucraina appunto significa marca di frontiera.
Progressivamente anche il dialetto ucraino fu abbandonato sostituito dalla lingua russa.
La Rus di Kiev, la prima Russia si vide affibbiare con fare dispregaitivo l’appellativo di piccola Russia e questo il popolo ucraino non lo ha mai digerito.
Questa circostanza, forse, è alla base della forte contraddizione nazionalistica tra il popolo russo e quello ucraino.
Sarà un caso ma è proprio di questo periodo che si hanno le prime testimonianze dei guerrieri cosacchi in terra ucraina, i kozak, che appunto significa uomini liberi.
Facendo un salto temporale e per evitare di far diventare questo intervento un trattato di storia arriviamo al secolo scorso.
Sulla scena europea e mondiale si affaccia un uomo di cui è doveroso e saggio sorvolare anche sul nome che decide nella primavera del 1941 di invadere la Russia e nella sua follia di sottometterla con una guerra lampo della durata di poche settimane.
Fece male i conti con la tigna del popolo russo, e dopo un anno quando oramai i rifornimenti di carburante scarseggiavano decide di volgere la sua armata a sud.
Proprio nell’area dell’attuale ucraina e più ad est verso il caucaso aree ricche appunto di petrolio.
Sei oggi vi parlassi di Volvograd a molti non direbbe nulla. Una delle tante città russe a pochi km dal confine russo ucraino.
Ma se io la chiamassi con il nome originario e cioè Stalingrado, allora di sicuro i cassetti della memoria ci porterebbero al tragico assedio proprio di Stalingrado.
Il popolo ucraino misto alle milizie sovietiche si trincerò per circa sei mesi di battaglie tra le rovine di una città oramai ridotta ad un cumulo di macerie.
Le cronache parlano di donne e bambini stremati che con pale e picconi scavavano tra quelle rovine in cerca di riparo o per realizzare trincee.
La città fu difesa palmo a palmo strada per strada palazzo per palazzo. E non cedette. Oggi è definita la più importante battaglia di tutta la seconda guerra mondiale.
Ed ancora teatro della disfatta della sesta armata di paulus fu la terra di ucraina. Quando Zukov dalla Romania riuscì a sfondare le linee naziste e costringere alla resa l’esercito tedesco oramai chiuso nella morsa della volta del don.
Immaginate la devastazione lasciata su quella terra.
Immaginate se quel popolo avesse ceduto. Se Stalingrado fosse caduta ed il crucco fosse arrivato ai pozzi di petrolio.
Quale Europa avremmo oggi? Quale italia? Ma soprattutto quale libertà?
Ecco che attraverso la storia alla domanda “da che parte stare?” la risposta non può che essere una.
dalla parte di chi lotta per la libertà!

Chiudo con un altro grande scrittore ucraino Michael Bulgakov che nei suoi viaggi in giro per il mondo rimase colpito dalla bellezza della nostra Italia e scrisse “tutto passa”.
Passano le sofferenze ed i dolori, passano il sangue, la fame, la pestilenza.
La spada sparirà, le stelle invece resteranno e ci saranno le stelle anche quando dalla terra saranno scomparse le ombre dei nostri corpi e delle nostre opere.
Non c’è uomo che non lo sappia. Ma perché allora non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle? Perché?
Onore a lei padre.Alla comunità ucraina che ogni giorno con tanta dignità nel lavoro arricchisce la nostra comunità.
Agli uomini e donne dell’Ucraina».