Ora è il momento di produrre cibo migliore

Ora è il momento di produrre cibo migliore
“Ora è il momento di produrre cibo migliore,” Riportare in Europa la produzione agricola, significa produrre in modo sostenibile. In quando il corpo legislativo tutela l’ambiente e la salute pubblica.

Ciò comporta sicuramente un aumento dei costi e una diminuzione delle rese quindi meno cibo ma di qualità.
In un continente, affetto da un’evidente e crescente epidemia di obesità è il minore dei mali.
Quindi è legittimo porsi la domanda:

“Ha senso produrre un eccesso di cibo di scarsa qualità?”
Favorendo e accelerando il cambiamento climatico e la relativa perdita di biodiversità?
- Il Covid19 e la guerra Russia-Ucraina in realtà ci ricorda la fragilità che caratterizza l’approvvigionamento alimentare.
- Tale condizione ci impone come Europa la necessità di garantire la nostra sicurezza alimentare, aumentando la nostra resilienza.
Nel contempo l’ emergenza climatica e ambientale, pone come imperativo la riduzione dell’inquinamento, ambientale in modo da avere suoli sani e favorire la Biodiversità.
Decenni di attività agricole intensive hanno messo a dura prova gli ecosistemi, causando la perdita della biodiversità.

Le pratiche agricole e forestali intensive, associate alla crescita vertiginosa delle città e delle infrastrutture hanno trasformato in maniera massiva i nostri paesaggi.
La politica degli ultimi decenni, ha reso dipendente il nostro paese dalle importazioni, molto più di quanto crediamo.
L’agroalimentare italiano, è vittima dell’importazione selvaggia dei prodotti agricoli.
L’abbondanza di prodotti agricoli a basso costo è stata la principale causa del degrado dei nostri paesaggi.
Il sistema agricolo Italiano, è stato impotente nei riguardi dei prodotti di scarsa qualità, arrivata da ogni parte del mondo.
Questa pratica non è stata un affare per nessuno. In quando a reso di fatto antieconomica la produzione agricola nostrana.
La conseguenza di questo sistema è stato l’abbandono delle attività agricole, delle zone meno vocate della penisola, il conseguente degrado del territorio è sotto gli occhi di noi tutti.

Le nostre colline e montagne abbandonate dagli agricoltori, si sono degradate creando enormi problemi, le risposte a queste situazioni emergenziali, gravano economicamente sulle nostre comunità.
E’ ora di renderci conto, che gli ecosistemi montani filtrano l’acqua che beviamo, sono spugne naturali che assorbono la pioggia in eccesso è prevengono le inondazioni.
Gli alberi e i pascoli immagazzinano enormi quantità di carbonio e consolidano i pendii prevenendo eventuali smottamenti.
Oltre a queste importantissime funzioni, l’agricoltura tradizionale ci mette a disposizione dei prodotti unici e irripetibili, quali i nostri prodotti tradizionali che tutto il mondo ci invidia.

Considerando che nel nostro continente l’obesità è una vera e propria pandemia, la riduzione quantitativa della produzione, non deve creare preoccupazione, in quanto si guadagna in qualità.
Negli ultimi 30 anni, le leggi UE hanno ruotato attorno alla demonizzazione, del mondo microbico e dell’agricoltura tradizionale: questo approccio si è concretizzato con il Pacchetto Igiene.
- La politica agricola europea, di fatto hanno messo ai margini l’agricoltura tradizionale. Rendendo un’impresa ai limiti del possibile la produzione tradizionale, (l’imposizione di utensili in plastica nei caseifici e nei salumifici, al posto degli attrezzi in legno).
- Questo atteggiamento di fatto ha favorito l’inquinamento ambientale e l’immissione in atmosfera di CO2.
Gli ultimi 30 anni hanno mostrato i limiti dell’attuale approccio liberista. I supermercati, le farmacie e la pubblicità propongono continuamente, probiotici in tutte le salse.
I probiotici sono gli stessi microrganismi che prima del Pacchetto Igiene costituivano e costituiscono la microflora naturale dei nostri prodotti tradizionali.
Che senso ha?
Sterminare ciò che è naturalmente presenti in natura per poi proporre una copia sbiadita e artificiosa della stessa.
L’abbandono della agricoltura e dell’allevamento tradizionale ha di fatto favorito il degrado dei nostri territori che abbandonati a se stessi sono soggetti ad frane e incendi.
Nel contempo le aree vergini del pianeta si riducono ogni anno, sotto l’attacco, di una agricoltura intensiva il cui unico obbiettivo è produrre prodotti a basso prezzo che, per essere portati sui nostri mercati immettono inutilmente tonnellate di CO2 durante il loro peregrinare per il pianeta.
È ora di pensare in modo diverso. È tempo di rendere legalmente vincolante la produzione agricola al rispetto per la natura.

L’attività agricola tradizionale porta enormi vantaggi per il clima.
In quanto è la migliore “tecnologia” a nostra disposizione per la produzione di alimenti di qualità con risorse ambientali che, non possono essere utilizzati da altri modelli produttivi e sono soggetti ad incendi.
Non c’è nulla di più efficiente ed economico per rimuovere il biossido di carbonio dall’atmosfera: delle foreste, dei pascoli, delle zone umide e dei mari.
Gli agricoltori con la loro attività, inoltre curano e mantengono il paesaggio tipico dei nostri territori, paesaggio invidiato da tutto il resto del mondo.
Le comunità presidiando il territorio, né migliorano la protezione dalle inondazioni, foreste curate diventano più resilienti.
La rotazione e la diversità delle colture agricole, oltre che a caratterizzare il paesaggio, se combinate con un uso ridotto di pesticidi chimici, hanno un impatto rapido e positivo sulla fauna locale.
Muri in pietra, margini erbosi e strutture intrappolano i sedimenti all’interno dei confini dei campi agricoli e contrastano l’erosione del suolo.
Queste attività generalmente, utilizzano, ecotipi sia animali che vegetali, che si sono adattati nel corso dei millenni ai vari ambienti della penisola, dando un enorme contributo alla tutela e all’ampliamento della Biodiversità.

Le crisi del clima e della biodiversità stanno minacciando le fondamenta stesse della nostra vita in generale.
Un nuovo approccio politico, è necessario per contrastare la perdita di biodiversità, causata dalla globalizzazione mercatistica e, al contempo avere una certa indipendenza alimentare, oltre che a dare ai consumatori prodotti eccellenti dal punto di vista qualitativo e rispettosi dell’ambiente, come oramai chiede la nostra società.
La scienza dice che questo modello di sviluppo non è sostenibile, i cittadini ci chiedono prodotti sani e di qualità: la politica deve dare risposte.
Nicola Costa
Già medico veterinario presso UNICZ, ha studiato farmacologia clinica presso l’università di Napoli “Federico II” , collaborato in alcuni studi con il premio Nobel Rita Levi Montalcini . Convinto assertore della necessità di una nuova visione complessiva del modo con cui in Italia si dovrebbe gestire l’intera filiera agroalimentare per tutelarne le peculiarità legate alla biodiversità che nei tempi l’aveva contraddistinta.