Manipolazione genetica

La manipolazione genetica un’opportunità o un mostro da demonizzare?

Quando si pensa alla questione ambientale, viene in mente il legame tra la tecnologia e il genere umano. Un uso consapevole della prima permette di rendere migliore il modo di approcciarsi agli eventi avversi.

La soluzione dei problemi alimentari, richiede un’applicazione consapevole delle diverse METODICHE e tecnologie conosciute, in modo da trovare le soluzioni idonee in grado di mitigare gli effetti dei cambiamenti in corso.

Un approccio realistico e concreto, è necessario per trovare un terreno comune di confronto ed arrivare ad una decisione consapevole e condivisa sempre orientata al bene collettivo nel rispetto dell’individuo.
Per arrivare alla consapevolezza, bisogna superare l’approccio dogmatico che caratterizza i diversi movimenti ambientalisti.
Non basta vietare una tecnica o una tecnologia, per risolvere un problema complesso, come L’approvvigionamento alimentare.
Bisogna passare all’azione, per supplire all’assenza della politica e adottare comportamenti virtuosi che possano rigenerare quel nostro modo di stare al mondo che fa ormai acqua da tutte le parti: ovvero affrontare il problema nella sua complessità.
In particolare il quesito che dobbiamo mettere sul tavolo: Le tecniche di manipolazione genetica possono contribuire a migliore le condizioni di vita della popolazione mondiale o la loro applicazione degrada irreversibilmente l’ambiente?
Le tecnologie agricole, devono essere indirizzate in modo da mantenere o aumentare la produzione agricola attuale nel rispetto dell’ambiente.
Sicuramente aver demonizzato sin dalla loro nascita le tecniche di manipolazione genetica, non ha aiutato il sistema agricolo europeo; questa tecnica è stata prima utilizzata in modo empirico, nel momento in cui l’uomo si è accorto che incrociando individui vegetali o animali simili, poteva attenere una prole vicina alle sue aspettative.
L’esempio più eclatante ed evidente dell’applicazione di questa tecnica, è il lupo umanizzato, ovvero il cane.

Tra le specie animali oggetto dell’attenzione umana, il lupo è quello in cui le differenze con il modello originario e le varietà selezionate è il più ampio in assoluto bisogna fare uno sforzo enorme, per trovare la comune origine tra un chihuahua e un San Berdardo. Nei vegetali è ancora più difficile trovare corrispondenza tra le cultivar attualmente coltivate e il loro antenato originario; (esempio il mais o l’ananas).
L’Europa aveva l’obbligo di fare da apripista a queste tecnologie, in modo da regolamentare e indirizzare la tecnica secondo i principi che la politica europea dice di perseguire.
Le colture ingegnerizzate possono e devono seguire un’etica ambientale comune nella loro attuazione, altrimenti il loro impatto sugli ecosistemi sarà devastante.
Il no da parte della U.E a queste tecnologie ha avuto un impatto economico molto importante sulla agricoltura del vecchio continente.
Le cultivar a seconda dei geni coinvolti fanno la differenza.
Un esempio per capire devono essere gestite queste tecnologie sono: le cultivar a cui è stata trasferita la resistenza al glifosato e le cultivar nelle quali sono stai trasferiti i geni per la sintesi della tossina del batterio Bacillus thuringiensis (Bt).

La prima applicazione ha creato e continua a creare il deserto biologico nei paesi dove vengono usati, in quanto l’aumentata resistenza che le varietà ingegnerizzate hanno per glifosato, facilita il controllo chimico delle specie infestanti, riducendo anche le lavorazioni del terreno necessarie per la coltivazione di queste varietà rispetto alle cultivar originali, pertanto vengono utilizzati grandi quantità dell’erbicida.
Questa è una condizione fortemente impattante sulla flora spontanea, in quanto la presenza nel terreno a fine ciclo dei residui di glifosato in quantità crescenti, impedisce la germinazione e la crescita delle specie spontanee rendendo in pochi decenni i terreni oggetto di queste colture privi di flora spontanea detto “deserto biologico”.
A quest’effetto si deve aggiungere l’aumento della produzione di co2 necessaria, per la sintesi e la distribuzione di una quantità maggiore di diserbante sui campi. Il cui l’impatto ambientale di questa tecnologia diventa insostenibile.
Sul piano economico queste produzioni generano un vantaggio concorrenziale visto che i nostri mercati sono inondati di prodotti agricoli a basso costo anche se di scarsa qualità provenienti da queste colture, mettendo ai margini le nostre produzioni agricole.
Gli stati dell’ U.E. sono di fatto i committenti dei disastri causati da questa tecnologica.
Un altro esempio da considerare sono le cultivar nelle quali sono stai trasferiti i geni per la sintesi della tossina del batterio Bacillus thuringiensis (Bt) che, è velenosa per alcuni insetti.

Questa manipolazione permette una riduzione delle irrorazioni di antiparassitari. Quindi in questo caso si ottiene un vantaggio ambientale dovuto principalmente alla riduzione della CO2, in quanto non sono richiesti interventi per la distribuzione dei pesticidi nei campi. Viene risparmiata l’energia necessaria per la loro sintesi che per il trasporto degli stessi. Tali vantaggi relativi alla riduzione degli insetti predatori si ripercuotano pure nei campi circostanti, messi a coltura con altre piante di interesse agricolo.
L’obiezione l’uso massivo di questa tecnologia possa causare un declino delle popolazioni di insetti ben oltre la superficie coltivata con la cultivar BT, può essere facilmente superato introducendo a bordo campo una quota di semi della stessa cultivar non BT consentendo cosi il mantenimento delle popolazioni di insetti.

La tecnologia come tutti i prodotti umani può essere una grande opportunità nelle mani di una classe politica responsabile e lungimirante. La differenza negli esempi esposti, sta nel tipo di geni che sono stati inseriti nelle cultivar. Nel primo caso i geni della resistenza al glifosato, hanno un impatto sull’ambiente massivo in quanto le superfici coltivate con le varietà ingegnerizzate, soggetti inoltre alla monocoltura, perdono quasi tutta la loro biodiversità.
Diverso è il caso, dell’inserimento dei geni responsabili della sintesi della tossina BT. Tale artificio riduce invece l’uso dei pesticidi creando un effetto positivo sull’ambiente.
Questa tecnologia come pure la forma evoluta del trasferimento genetico tipo CRISPR-Cas, possono accelerare l’ottenimento di cultivar che si adattano meglio alle nuove condizioni ambientali, (resistenza allo stress idrico, alla salinità, agli stress termici ecc.), gestita con oculatezza da una classe politica responsabile è un modo che offre un enorme potenziale al fine di dare risposte ai problemi che l’incremento della popolazione mondiale ci pone.
La messa al bando degli OGM termine che può essere esteso a tutte le specie domestiche, ma attualmente viene usata solo per indicare le cultivar oggetto delle moderne tecniche di manipolazione genetica, dimostra che il rispetto della scienza vige solo quando la scienza non contraddice le nostre convinzioni dogmatiche e le nostre angosce apocalittiche.
La mobilitazione della politica opportunista e delle organizzazioni ambientaliste integraliste contro le tecniche di manipolazione genetica, ha ridotto solo la competitività dell’agricoltura europea rispetto al resto del mondo e contemporaneamente ha incrementato il degrado ambientale nei paesi in cui è massiva la presenza di queste colture.

L’appartenenza all’organizzazione mondiale per il commercio (WTO), fa si che il problema non si risolve vietando l’uso della tecnologia ma definendone i confini entro la quale deve agire. Al di là delle convinzioni che possono caratterizzare l’ambientalismo integralista, sulle nostre tavole arrivano i prodotti dal mondo alle condizioni dettate dai paesi produttori delle derrate alimentari.
D’altronde la natura delle cose sta nella sua nascita. WTO è nata come mercato e per il mercato, questa è l’unica etica che conosce e persegue.
Nicola Costa
Già medico veterinario presso UNICZ, ha studiato farmacologia clinica presso l’università di Napoli “Federico II” , collaborato in alcuni studi con il premio Nobel Rita Levi Montalcini . Convinto assertore della necessità di una nuova visione complessiva del modo con cui in Italia si dovrebbe gestire l’intera filiera agroalimentare per tutelarne le peculiarità legate alla biodiversità che nei tempi l’aveva contraddistinta.