Il Porcheddu, il piatto più….

di Federico Ottolini

AgritalyVox presenta il porcheddu il piatto più noto e riconosciuto nell’isola, una specie di ricetta “nazionale” definita da un grande senso di appartenenza e da un  notevole significato identitario.

Per i sardi significa consumarlo durante le feste e di sicuro ogni turista della splendida Sardegna gradirebbe provare almeno una volta nella sua  vita visitando questo luogo unico al mondo.

La cottura perciò deve essere fatta esclusivamente alla brace, cuocendolo a fuoco lento almeno due ore  e mezza. 

La cotenna deve diventare di colore bruno – dorato ed essere croccante, invece la carne divenire morbida.
Quando è completamente cotto, si sfila dallo spiedo e si lascia riposare sul mirto affinché acquisisca il suo specifico sapore.

Azioni che ogni sardo, anche se esistono diverse varianti di preparazione, conosce molto bene.

Ovviamente si parla del maialetto arrosto, chiamato “porceddu”, “proceddu”, “porcheddu”, “porcetto”,  “pulcheddu” il piatto che cambia nome seconda della provenienza dell’interlocutore sardo.

L’origine di questa preparazione in effetti è molto incerta.

Non a caso, ancora oggi, in molte regioni spagnole si consuma il “cochinillo” ovvero il maialino da latte in versione ispanica. In Sardegna, il maialino è diventato con il tempo il piatto delle feste.

Quasi tutte le famiglie tenevano nel proprio cortile i maiali,

un lusso eccezionale che quella bestiola, una volta cresciuta, sarebbe stata per le famiglie una fonte di proteine e di grassi nel corso di tutta la stagione invernale.

Le cotture infatti sono piuttosto diverse nelle varie zone sarde. Nel sud ad esempio si è abituati a cucinarlo alla brace, infilato nello spiedo e fatto lentamente girare davanti al fuoco vivo. 

Oggi questa procedura è stata sostituita tramite un girarrosto elettrico.

Nel passato invece l’arrostitore si interessava di ricollocare in posizioni diverse volta per volta l’animale per cuocerlo bene in ogni sua parte.

In Barbagia, ad esempio, non sono pochi quelli che ancora prediligono il metodo di cottura più antico, ovvero sotto terra  “A carraxiu”.

Una tradizione antica e autentica, figlia della cultura pastorale e che ben si presta alla preparazione di cibo all’aria aperta.

Si procede dunque tramite questo iter: si fa una buca, all’interno della quale, si dà vita a un bel fuoco che genererà molta brace.

Sopra la brace si crea un letto di erbe aromatiche (soprattutto mirto e un po’ di rosmarino) si posa sopra il maialetto (prima ricoperto dalle erbe aromatiche) e si ricopre il tutto nuovamente con un “lenzuolo” di erbe aromatiche.

Sopra questo “scrigno” si adagia un altro po’ di brace. Infine si ricopre il tutto con alcune pietre e poi con la terra.

Sono necessarie quattro ore, per preparare tutto. Tra l’antico e il “moderno”, esiste anche la cottura in verticale con il maialino infilzato nello spiedo e quest’ultimo conficcato sul terreno.

Davanti, pure anche in questo caso, un bel fuoco vivace necessario per dorare perfettamente la cotenna.

Esistono inoltre altre varianti di cottura molto particolari e di origine molto antica, per ottenere una cotenna più saporita e croccante.

In alcune parti della Sardegna si è abituati addirittura a tingere la pelle del maialino con il suo stesso sangue.

Questa possibilità rende la cotenna più saporita e croccante. Un’altra alternativa è quella di sciogliere un po’ di lardo suino sulla cotenna, in fase di cottura.

Pure in questo caso il grasso sciolto si unisce strettamente sulla pelle dell’animale, facendola diventare più fragrante.

C’è poi un altro sistema di cottura, che prevede di cospargere la cotenna del maiale con la semola a cottura quasi conclusa.

Così la semola compie una doppia azione: aumenta la croccantezza della cotenna e la asciuga un po’ dal proprio grasso.

L’ultima decisione da prendere è se il maialetto sia preferibile mangiarlo caldo oppure tiepido. In tutti e due i casi è speciale.

Nel primo caso viene tagliato ancora molto caldo.

Nel secondo caso è necessario porre l’animale su un letto di foglie di mirto e riempirlo poi con un “lenzuolo” della stessa pianta.

Il piatto di porcheddu oi viene lasciato raffreddare e aromatizzare per un po’ di tempo e mangiato a temperatura ambiente

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