IL MILIONE E LA BURLINA

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IL MILIONE E LA BURLINA – Il patrimonio culturale , integrante l’identità del territorio, trova un proprio profilo nelle abitudini alimentari ,conservando in esse transizioni insediative ,assetti sociali e dinamiche storiche ,segnate in modo determinante dalle vicende umane.

di Christian Rizza

Offrire un modello di ricerca per ricostruire l’atmosfera di un complesso passato, costituisce l’oggetto di aspirazione ideale

allargando lo sguardo sulle espressioni più ricorrenti del quadro popolare.

In questa trama il cibo ,nelle sue forme più semplici, offre un orizzonte lontano nel tempo come uno strumento utile a comprendere un disegno in bianco e nero in mezzo alle figure retoriche dei libri di storia.

Così, come l’arte non è mai menzognera, anche la cucina, anch’essa rappresentazione dello spirito dell’uomo

o gli ambienti meno nobili delle stalle e dei granai, nell’insieme di attrezzi e utensili rudimentali o all’avanguardia

aiutano a comprendere una realtà passata, nella quale sopravvivono le origini della nostra civiltà.

L’artificio delle abitudini e la dimestichezza col mestiere

  • nello scarto cronologico di una trama intimamente stabile di una minoranza etnica, segnano le vicende di un territorio

integrando nuove mentalità e conoscenze, apparendo come lontana ma certa premessa di un motivo di convenienza e inoppugnabile opportunità dai feudatari imperiali.

Nell’intenzione di restituire forze utili alla bonifica di terreni a tutto vantaggio dell’arte della terra e dell’allevamento del bestiame:

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I cimbri

asserzione esemplificata dagli sforzi dei “Cimbri”, popolazione di stirpe germanica, il cui viaggio, alla ricerca di una nuovo habitat

termina fra le fertili terre dell’Altopiano di Asiago diventando causa diretta di un processo metabolico all’interno di una comunità organizzata destinata a una totale autonomia .

Altopiano di Asiago

“Nel territorio dei Sette Comuni non esistono castelli di nobili, non esistono ville di Signori, né cattedrali di Vescovi, per il semplice fatto che la terra è del popolo e i suoi frutti sono di tutti come ad uso antico “

Il milione e la BURLINA altopiano di Asiago

Queste le parole con cui lo scrittore Mario Rigoni Stern ,celebra la “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni” ,primo esempio nel tempo di una reciproca fedeltà a difesa della tradizione di una collettività e dei suoi principi.

  • Nata da un rapporto di stretta affinità fra i comuni di Asiago, Enego, Foza, Lusiana Conco, Gallio, Roana e Rotzo

ognuna con un proprio percorso nel tempo, e destinate a diventare parte di un medesimo insieme fino alla calata di Napoleone ,nella Campagna d’Italia.


Dove il bagaglio di una cultura trova sicuro rifugio ,si impiegano con profitto le scorte di latte ovino verso una produzione casearia conosciuta con il nome di “Pegorin” e trasmessa, nell’artificio delle evoluzioni e delle tecniche dei Frati Benedettini

alla nuova consuetudine del latte bovino ,maturata intorno al XVI secolo, metabolizzato come formaggio d’Asiago.

L’Asiago è un formaggio a pasta dura riconosciuto con il marchio D.O.P. che si produce nelle province di Vicenza, Trento, Padova e Treviso. In origine questo formaggio veniva prodotto soltanto nell’altopiano di Asiago, da cui prende appunto il nome, ma col tempo cominciò ad allargarsi la produzione dall’altopiano fino alle colline e ai rifugi alpini circostanti.

La condizione oggettiva esente da pericoli cessa con l’era moderna, rendendo completamente diverso l’acrocoro veneto:

l’insieme imponderabile e fatale delle Guerre trovano una cornice agli scontri bellici fra i verdi prati dell’altopiano producendo, come immancabile effetto

lo spopolamento e allargando di fatto la produzione casearia non solo nel fondo valle ma anche in territori limitrofi alla provincia vicentina.

Con la fine delle ostilità e la ripresa
economica l’Asiago diventa punto di forza economica e assiste ,grazie anche a nuove tecnologie, ad un accrescimento progressivo con implicazioni relative ai fattori di occupazione.

  • Le opere di William Shakespeare destinate al teatro, trovano negli squarci gotici e rinascimentali di Verona, una facile illusione dei fausti amorosi di Giulietta e Romeo;

tra gli odori medievali dei vicoli dell’antico “ municipium” romano e le palazzine fatte di mattoni di laterizio costernate
da muri merlati e decorate da fioriti cortili, il drammaturgo inglese racconta la passione di due giovani innamorati il cui destino si traduce nei rancori delle due nobili famiglie di appartenenza.

E dove l’amore diventa discreta pazzia, ritorna la placata esperienza dei Cimbri ,scesi dall’Altopiano di Asiago per trasferirsi, con l’approvazione del Vescovo Bartolomeo Scala,

sulle pendici dei monti della Lessinia, prima di allora disabitate, per occuparsi attivamente all’allevamento di bestiame e alla produzione di formaggi .

Monte Veronese è un formaggio a base di latte vaccino, a pasta semicotta, prodotto nei comuni della parte settentrionale della provincia di Verona.
Esiste in due tipologie che si distinguono per la lunghezza del periodo di invecchiamento: a latte intero (crudo o pastorizzato) con stagionatura minima di 25 giorni e a latte detto d’allevo (parzialmente scremato) con stagionatura minima di 90 giorni.

Da questa pratica si diffonde una merce preziosa, sostitutiva della moneta negli scambi commerciali del XIII secolo e soggetta al controllo diretto delle autorità, con il nome di “caseus oculos” ,meglio conosciuta come “Monte Veronese “

la cui etimologia suggerisce l’adoprare il latte di più mungiture al fine di ottimizzare le potenzialità di produzione.

E seppur vero è dir male di un cuoco che non sa leccarsi le dita ,con pari ragione l’arte casearia cimbra merita una collocazione radicata e convinta nell’elenco delle eccellenze Venete

nel tempo passato di tuniche lambite da mantelli colorati fino alla “smartizzata” esperienza delle nostre frenetiche vite .

Universalmente noto per l’eccezionalità degli aspetti rappresentati , Shakespeare riserva alla bellezza architettonica veneta ampio spazio

segno inequivocabile e tangibile di una regione destinata ai lustri del tempo
ritrovandosi negli aspetti pregevoli, non facilmente imitabili

Andrea Palladio, nato a Padova nel 1508 e morto nel 1580, è stato uno degli architetti più celebri e influenti nella storia dell’architettura occidentale. Il suo stile determinò un impatto così forte che dette origine al palladianesimo, un movimento destinato a durare per secoli che richiama i tratti caratteristici dell’opera di Palladio: armonia, classicità, serenità, proporzioni. Palladio non fu solo un architetto, fu anche uomo di scienza e cultura, perché con i suoi “I quattro libri dell’architettura” (pubblicati nel 1570) stabilì un canone di lavoro a cui si ispirarono tantissimi architetti e urbanisti, italiani e stranieri.

delle opere architettoniche di Andrea Palladio della Gondola, resi eterni nella realizzazione di palazzi e chiese, capaci di superare i giudizi del tempo, stagliandosi in un prospetto artistico passato ai posteri, attraverso l’inclemenza del tempo e delle guerre

senza esserne privato della sostanza esaustiva dell’animo del passante.

  • Vicenza, Padova, Belluno, Venezia ,nello sfoggio di una straordinaria abbondanza di lusso ed eleganza

nate dai primitivi insediamenti di Altini e Morlacchi come culture Paleovenete, sull’onda delle influenze di uomini d’arte,

sotto il segno della spada e del Leone Alato Marciano, manifestano il frutto di una meravigliosa presunzione umana

protagoniste delle dinamiche storiche sempre coronate dalla linea apparente di un fenomeno identitario meritevole di applausi.

Non solo movimento artistico e letterario ,ma centro commerciale fatto di incontri di diverse culture e di merci in viaggio

per e da il mondo conosciuto, oltre che passaggio obbligato verso quanto escluso dalle comuni possibilità intuitive dell’Oriente,

simbolo di un’idea rivolta a nuove cognizioni partecipi di un arricchimento spirituale ispiratrici di future esplorazioni volte a disegnare ben più ampi confini.

Il Milione è il resoconto dei viaggi in Asia di Marco Polo, intrapresi assieme al padre Niccolò Polo e allo zio paterno Matteo Polo, mercanti e viaggiatori veneziani, tra il 1271 e il 1295, e le sue esperienze alla corte di Kublai Khan, il più grande sovrano orientale dell’epoca, del quale Marco fu al servizio per quasi 17 anni.

Precursore della Via della Seta, natale della città lagunare di Venezia, Marco Polo descrive nel Suo “Milione” l’incontro con una civiltà lontana non solo nel segno delle mappe, ma anche e in particolare nel collettivo delle consuetudini.

Ancora una volta le trame dello scrittore nato presso il fiume di Avon ,riprendono i luoghi e le gesta venete sotto le righe “del mercante di
Venezia”

come a sottolineare l’inclinazione della città lagunare, attraversata da canali come strade percorse dalle fascinose e tipiche gondole

e vissuta con lo spirito di un mercante marinaio tanto devoto quanto sognatore e tra le strette e malegevoli vie della Serenissima

possiamo individuare antichi luoghi dedicati all’arte dei Pestrieri, lavoratori e venditori del latte insieme ai suoi derivati caratterizzando il campiello di Santa
Maria di Formosa

o le antiche calle di Bragora ,di Castello e ancora di Santo Stefano con profumi e odori di formaggi, afferrati dall’insegnamento
dei capimaestri della “Schole Picole arti e misteri” scuola aperta al mestiere degli antichi lattai.

Le fatiche di un viaggio, verso i gruppi montuosi della Marmolada e della Conca Agordina, di un popolo audace nato sotto le cime delle Alpi Dinariche dell’Europa Meridionale

trovano giusta ricompensa nel magnifico anfiteatro dolomitico, sostituendo le ansie di un’esistenza nomade con le certezze di una casa e una terra da vivere.

Sono i Morlacchi ,antico popolo di stirpe dalmata, dedito alla pastorizia e capace officiante casaro

a cui si deve l’uso del “formajo dei puareti”, avo del Morlacco e figlio di un’arte contadina semplice la cui produzione è legata all’unica razza bovina autoctona veneta :

La vacca Burlina è l’unica razza bovina autoctona del Veneto, precisamente dell’Altopiano dei Sette Comuni. È tutelata da un presidio Slow Food che riguarda la vacca Burlina e il Morlacco del Grappa

la Burlina, di piccole dimensioni abituata ai pascoli montani ma fortemente protesa verso l’estinzione.

Lavorato con latte scremato ,come all’uso di destinare il grasso alla produzione del burro e del formaggio Bastardo che posa sulle tavole in compagnia di polente dopo le dure giornate di lavoro

Nel formaggio Bastardo la crosta è liscia, morbida nel formaggio di breve stagionatura e dura in quello stagionato. Il colore è paglierino, che scurisce con la stagionatura. La pasta è semidura, abbastanza granulosa, di colore bianco o paglierino chiaro che scurisce con la stagionatura

restituendo un messaggio materiale delle condizioni di vita in suffragio ai documenti redatti da storici e notai;

è un formaggio povero che trova posto nella bibliografia incontrando gli entusiasmi di grandi personaggi come Goethe, Gabriele d’Annunzio e ancora nelle memorie di guer-
ra di Hemingway.

Dalle malghe alle latterie ,le produzioni casearie venete comprendono un patrimonio in confidenza con i misteri del tempo celati in assetti sociali e stanziamenti antichi,

proponendosi con meravigliosa libertà nel panorama delle eccellenze offrendo in cambio il rapporto di coincidenza della storia di una regione sontuosa

il cui insieme restituisce le contraddizioni della passione e del sentimento ritrovate nel mormorio delle onde del Piave

e incise nel cuore di un popolo mai domato, i cui vestiti sporchi della loro stessa terra, celebrano la fierezza di un sentimento di appartenenza.

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