Il maiale per gli ebrei

Il maiale per gli ebrei , Potrebbe essere descritto così, una battuta come quella della seconda sinagoga costruita per non entrarvi mai. Però potrebbe non essere così sciocca come sembra.

Kasher i primi e non Kasher i secondi: tra i quadrupedi, solamente quelli che presentano lo zoccolo spaccato e che ruminano sono adatti al consumo. Ma tali indicazioni non sono esaustive, perché alcuni animali siano annoverati tra i Kasher e i non Kasher.
Questa non spiegazione ha portato, durante i secoli, a formulare diverse ipotesi: da quelle più scientifiche legate all’igiene, all’ecologia, a quelle simbolico-rituali.
E’ importante comunque ricordare questo: la Torà non ci dà alcuna chiara spiegazione.
La Torà è il libro sacro per gli Ebrei. Stando alle regole stabilite, il maiale è proibito perché con l’unghia fessa o spaccata non rumina.
Ancora oggi il non mangiare maiale viene visto come una soglia di identità, un elemento di autocoscienza ebraica: molti ebrei infatti non pregano e non osservano lo Shabbat (il giorno del riposo); probabilmente non aderiscono nemmeno alle regole alimentari stabilite per gli ebrei, ma non mangiano una fetta di prosciutto.
Come se astenersi dal consumo di quel tipo di carne fosse il limite, oltre il quale sarebbe messa in discussione l’identità stessa ebraica. Ciò può apparire strano, ma è così.
Tale divieto, poi elemento importante, venne accettato pure dai fedeli di religione islamica.
Gli islamici quindi istituirono un legame con l’altra fede monoteista, quella ebraica; mentre i cristiani non credendo alla Torà, si dissociarono completamente dalle regole presenti nella Kasherut.
E’ fondamentale chiarire che non esistono ad oggi ragioni di ordine filosofico o scientifico, che palesemente e finalmente chiariscano perché le carni bovine o/e caprine siano buone e quelle suine no.
Non è una questione di gusto o biologia. Molti rabbini pensano: ci si astiene da quel cibo non per la cosa in sé, ma perché il Santo Benedetto così ordinò.
E in materia di mitzvot (ovvero i precetti della Torah) la volontà di Dio precede la nostra comprensione di quelle volontà. Dunque cercare di capire un precetto divino non è sbagliato, anzi può risultare meritorio per chi ne abbia le capacità, ma comprenderlo rimane secondario rispetto all’osservanza rigorosa del precetto stesso.
Capito ciò, è interessante comprendere un altro fatto proveniente in questo caso dalle ricerche archeologiche svolte in territorio israeliano.
Negli scavi archeologici in effetti fatti sull’altopiano, che attraversa la terra di Israele già terra di Canaan, dove gli archeologi ritengono ci siano la maggior parte dei nuclei dell’antico popolo ebraico e riconoscibili come ebraici sulla base della “consulenza materiale” dei loro villaggi, sono state trovate le ossa degli animali allevati in quelle zone e dei quali la gente si cibava.
A differenza di altri insediamenti o parti del paese; in quei villaggi presenti con le monarchie israelite, ossia l’Età del Ferro, non furono mai trovate ossa di maiale.
Contemporaneamente invece i Filistei, presenti sulla costa mediterranea, si cibavano di carne suina.
Forse era così pure per gli Ammoniti e i Moabiti presenti a est del fiume Giordano. “Il divieto di mangiare maiale”, scrivono gli archeologi Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman, non si può spiegare soltanto con ragioni economiche o ambientali: potrebbe essere l’unico segno del fatto che c’è una particolare identità comune agli abitanti dei villaggi degli altopiani a ovest del fiume Giordano.
Forse gli ebrei smisero di mangiare maiale solamente perché le popolazioni che li circondavano, ovvero gli avversari, lo mangiavano e loro avevano iniziato a considerarsi diversi.
Abitudini culinarie specifiche e tradizioni alimentari particolari sono due modi in cui si costituiscono dei confini etnici.
Il monoteismo e le tradizioni dell’Esodo e del Patto apparentemente arrivarono dopo. Mezzo millennio prima della creazione del testo biblico con le sue regole dettagliate e le proprie abitudini alimentari, gli israeliti scelsero per cause non chiare di non mangiare maiale.
Quando i moderni ebrei fecero lo stesso, ovvero continuarono la più antica pratica culturale del popolo israeliano attestata archeologicamente.

Un altro elemento del non mangiare carne suina lo si trova nei midrash alla Meghillà di Qohelet (ovvero l’esegesi del testo biblico dell’Ecclesiaste), dove si racconta che i Romani interrogarono Rabbì Meir che fu allievo sia del grande martire Rabbì ‘Aqivà sia del grande apostata Elishà Ben Abuyà a proposito del fatto che maiale in ebraico si dica chazir. Rabbì Meir rispose:” Perché è destinato a restaurare (lehachzir) il potere di coloro che ne sono i legittimi depositari”.
Risposta questa sibillina, che venne interpretata in senso teologico – politico: il maiale è come una linea di confine tra chia ha usurpato (quelli che si nutrono di carne suina) cioè i Romani e chi è proprietario legittimo (coloro che non se ne nutrono) ossia i Giudei.
Chi è fedele alla Torà infine vedrà la restaurazione del Tempio.
E’ una risposta in codice, quella di Rabbì Meir, che poi prosegue e insiste: “In futuro il lupo avrà una pelliccia di lana pregiata…”; che poi ricorda un altro famoso rimprovero semitico: lupi vestiti di agnelli. Di sicuro non un complimento per i Romani.
Un altro riferimento al maiale è sempre presente nella stessa pagina in questione. Qui ai rabbini è data questa immagine. “Nel mondo futuro il Santo Benedetto manderà un messaggero ad annunciare: ‘
Tutti coloro (tra gli Ebrei) che nella loro vita non hanno mai mangiato carne di maiale riceveranno ciascuno la propria ricompensa; ma anche coloro che tra i gentili non hanno mai mangiato carne di maiale, riceveranno ciascuno la propria riconpensa’.
Ma poi ci ripenserà e dirà: “Ma se hanno già goduto la loro ricompensa in questo mondo, perché dovrebbero goderne anche nell’altro? Cercano dii godere anche del mondo dei miei figli?”.
Divertente modo di ragionare: prima si ‘apre’, ricompensando con i due mondi – di qua e di là – tutti coloro che non mangiano carne suina; poi si ‘chiude’, destinando il mondo futuro solo a Israele…
Questa è la dialettica dei rabbini, durante le persecuzioni (come fu il periodo storico vissuto da Rabbi ‘Aqiva, da Rabbi Shim’ on bar Yochai e dal rabbì Meir): da un lato universalismo, ma moderno tramite posizioni ispirate alla giustizia e con una speranza di natura ‘etnica’ secondo gli archeologi;
‘nazionale’ secondo il patriottismo sionista. Infatti l’ebreo che mangia carne suina – esempio ricordato realisticamente nella letteratura yiddish (giudeo – tedesca) – afferma a sé stesso e ai suoi correligionari:
ecco trasgredisco intenzionalmente, quindi mi sono emancipato; mi voglio assimilare, basta con le tradizioni.
Salvo che lo dice con il più acuto ed ebraico dei sensi di colpa. Su questa base di partenza, Freud potrebbe sicuramente compiere uno studio approfondito…