I Prodotti Tradizionali: il futuro che viene dal passato


I Prodotti Tradizionali: il futuro che viene dal passato – Negli anni 1970-80 si pensò alle scorciatoie convinti che abbandonando il sistema delle piccole produzioni locali, fosse la via per creare il paradiso terrestre;

di Nicola Costa
I Prodotti Tradizionali: il futuro che viene dal passato

poiché l’idea era figlia del buonismo nascente, lo scopo era anche di creare, le condizioni per esportare nel nascente mercato globale, i prodotti che caratterizzavano e caratterizzano i nostri territori…

Fatevi un giro nei supermercati, nazionali ed esteri, eccetera: prodotti simili a prezzi stracciati accomunati da una qualità scarsa, per essere buonisti.

Alcune di questi prodotti pur avendo una certa indicazione geografica; usano materie prime provenienti da ogni dove, nulla hanno di tipico; processi produttivi sostanzialmente uguali e stessi fermenti.

E che dire del pacchetto Igiene? Quanti prodotti tradizionali ha lanciato sul mercato globale? 

  •  Ecco, non serve l’imposizione di modelli teorici, ma individuare, ciò che di unico è presente in un dato territorio, che  caratterizza lo stesso perciò le attività produttive  integrate in esso e non bisognose di sussidi.

 Date un’occhiata in giro, e vedrete come sia stato fallimentare il conato intellettualistico del produrre per il mercato globale:

un modello che, con qualche rara eccezione, non ha mai funzionato né può funzionare in Italia.

Alcune produzioni, le più tipicamente italiane, hanno bisogno sia di unità agrarie di grande estensione che di un rispetto delle tradizioni:

I Prodotti Tradizionali: il futuro che viene dal passato

i formaggi,  i salumi l’olio, gli agrumi i cereali;

questi non possono essere prodotti con materie prime importate, tranne qualche eccezione. Bisogna tutelare questo patrimonio dal punto di vista normativo e burocratico, invece di creare complicazioni normative, rendendo di fatto asfissiante qualsiasi attività.

Quando parliamo di “competenza” la riconduciamo al significato di “saper fare bene una determinata cosa”, essere “preparati” ed “esperti” in un settore o attività.

Consultando il dizionario italiano scopriamo che la radice del termine è quella del verbo latino competere che significa andare insieme

far convergere su obiettivo comune, ovvero la tutela del territorio e della comunità in esso insediata.

La competenza non è la quantità di conoscenze e di abilità che una comunità possiede, né tantomeno ai titoli che possono ascrivere al curriculum

quanto la capacità di saperli applicare e adattare alle varie situazioni e contesti.

  • La competenza si forma dall’integrazione tra molteplici risorse presenti sul territorio, costituite in modo particolare dalle caratteristiche ambientali, dalla abilità codificate nelle tradizioni(saper fare) presenti nella comunità.

Per cui le società rurali erano strutturate, in modo che tutte le componenti della stessa fossero funzionali alla produzione di un dato prodotto utilizzando al meglio le risorse presenti sul territorio. 

La competenza quindi indica la comprovata capacità di usare con responsabilità

e  autonomia, conoscenze, capacità soggettive, sociali e metodologiche in situazioni di lavoro o di studio o nel contesto della comunità di appartenenza.

La comunità è un sapere in movimento e condiviso che rende la stessa cosciente delle proprie risorse e della vocazione del territorio con il quale vive in equilibrio dinamico.

La concentrazione della produzione come la burocratizzazione di essa, di fatto crea un divario tra la comunità dove il prodotto è nato e, l’apparato produttivo dello stesso.

Ciò succede quando le modifiche dei disciplinari produttivi, prevedono l’uso di materie prime non autoctone. Quindi si arriva a portare sul mercato il contenitore e non il contenuto. Quindi il consumatore è disorientato, in quando crede di comprare un qualcosa che non è ciò che era. (es. prodotto tradizionale, per il quale vengono usate materie prime non del territorio.) Questo modo di produrre, crea nel consumatore l’idea che non è il territorio a dare l’eccellenza ma il processo produttivo. Quindi orienta la sua scelta su prodotti similari con un costo inferiore.

Secondo i dati di Federalimentare l’autosufficienza, ovvero la possibilità di produrre con sole materie prime nazionali e senza far ricorso alle importazioni, è una prerogativa di pochi settori in Italia. Questo naturalmente a seguito di scelte politiche perpetuate negli anni
Solo il vino, il riso e le acque minerali sono completamente autosufficienti
  • In particolare, l’importazione  selvaggia di materie prime per la produzione delle eccellenze alimentari,  impoverisce in territorio che né ha dato i natali, in quanto riduce il prezzo delle stesse, rendendo antieconomico coltivare il terreno. Il quale abbandonato a se stesso diviene fonte di degrado paesaggistico. 

Aspetto spesso sottovalutato dai politici, è la mancata garantendo possibilità di un reddito adeguato

e migliori condizioni di vita e di lavoro alle popolazioni locali I quali svolgono un ruolo nel mantenimento del paesaggio.

I prodotti tradizionali, fungono da custodi del territorio e, il territorio deve incentivare la loro produzione

Facilitando le norme della loro commercializzazione a livello locale, derogando alla normativa nazionale ed europea.


Le produzioni agroalimentari tradizionali, oltre a salvaguardare la storia dei processi produttivi

mantenendo un legame con il territorio e con le comunità locali che, nei secoli, le hanno generato preservare una sapienza spesso secolare e produrre specialità difficilmente replicabili altrove.

Ciò rende unici e riconoscibili tali prodotti che identificano e si identificano nel territorio. La produzione delle eccellenze tipiche, riesce a produrre, alimenti unici in aree che altrimenti sarebbero abbandonate. L’allevamento e l’agricoltura, in queste zone, riveste quindi una grande importanza sociale. Possiamo quindi tranquillamente affermare che i prodotti tradizionali rappresentano un elemento essenziale per la tenuta economica, sociale e ambientale. Evitando la perdita delle tante tradizioni che rappresentano oggi uno dei maggiori punti di forza in quanto rendono unico ogni territorio. 


Nicola Costa

Già medico veterinario presso UNICZ, ha studiato farmacologia clinica presso l’università di Napoli “Federico II” , collaborato in alcuni studi con il premio Nobel Rita Levi Montalcini . Convinto assertore della necessità di una nuova visione complessiva del modo con cui in Italia si dovrebbe gestire l’intera filiera agroalimentare per tutelarne le peculiarità legate alla biodiversità che nei tempi l’aveva contraddistinta.


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