Benessere animale

della redazione di AgritalyVox
Il ministero delle Politiche agricole e quello della Salute stanno da tempo lavorando a un sistema di certificazione su base volontaria del “benessere animale”,
basato sulla classificazione “ClassyFarm”.
Alla fine sarà probabilmente istituita una nuova etichetta di “benessere”,
applicata ai prodotti alimentari di origine animale e ottenuta secondo i criteri stabiliti dai due ministeri.
Secondo diverse associazioni i criteri scelti dai due ministeri, sono assolutamente insufficienti a garantire un reale miglioramento del benessere animale.

Le nuove etichette rischiano così di essere fuorvianti, illudendo le persone di acquistare prodotti più rispettosi del benessere animale, e penalizzanti per gli allevatori virtuosi,
già impegnati in una vera transizione dei sistemi di allevamento, i cui prodotti verrebbero equiparati a quelli provenienti dagli allevamenti intensivi.
Basti pensare, ad esempio, che secondo i criteri previsti, per ottenere la certificazione di “benessere animale” basterebbe allevare un suino di 170 kg in poco più di un metro quadrato di spazio (il minimo stabilito dalla legge), o che tra le misure ammissibili rientrerebbero anche interventi come la costruzione di biodigestori per i liquami zootecnici.
Una misura, quest’ultima, che non solo non ha nulla a che vedere con il benessere animale,
ma che spesso richiede contesti con densità molto elevate, in cui il benessere animale e la sostenibilità difficilmente possono essere garantiti.
Una simile etichetta
per la carne è impiegata da tempo su base volontaria nei supermercati tedeschi. Pochi giorni fa Aldi una delle principali catene del Paese (ormai presente anche in Italia)
si è impegnata a eliminare gradualmente dai suoi scaffali di carne fresca i prodotti appartenenti alle due categorie più basse del benessere animale,
con l’obiettivo di offrire ai clienti solo prodotti con i due standard più elevati entro il 2030.
Si tratta di una spinta decisiva per indurre le istituzioni politiche ad andare nella stessa direzione,
disegnando lo schema normativo che permetta la transizione della zootecnia verso modelli non intensivi.
Del resto, una strada del genere è perfettamente in linea con l’indirizzo intrapreso dalle istituzioni europee dopo la risoluzione adottata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo e accolta dalla Commissione
Ue lo scorso 30 giugno, in cui si stabilisce il divieto dell’uso delle gabbie negli allevamenti entro il 2027. In questo quadro ancora una volta, l’Italia rischia di rimanere indietro.
Passano gli anni, cambiano i ministri e i partiti che ci governano ,ma a muovere le fila in questo povero paese restano sempre gli stessi, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.